Usava lacci da cinghiale come esca per catturare Guardie Forestali e rivenderle all’estero
TULA. Un giro d’affari milionario, roba da far impallidire perfino i più accaniti spacciatori e trafficanti di droga; una rete organizzatissima e a diffusione capillare quella che è stata sgominata questa mattina grazie ad una rettata a forze congiunte che ha coinvolto Polizia, Carabinieri, Guardie Forestali e Cacciatori di Sardegna. Il vertice della cupola era costituito dalla famiglia Bracconeri di Tula: nomen omen visto che la famiglia è nota in paese per essere specializzata nel bracconaggio.
Il bracconaggio era in realtà solo l’attività di facciata che nascondeva un traffico ben più remunerativo: quello di Guardie Forestali. Probabilmente all’inizio si sarà trattato di un errore, da cui la banda ha presto imparato ad approfittare: molti paesi del mondo sono infatti a corto di Guardie Forestali, “specie faunistica” molto presente in Italia. In questi paesi, le istituzioni si rivolgerebbero a losche bande criminali per il reclutamento di nuove guardie, senza indagare sulla provenienza delle stesse o sui metodi di assunzione delle stesse.
Il modus operandi era semplice: una trasposizione del bracconaggio, spostata verso una nuova preda. I malviventi simulavano infatti il bracconaggio di cinghiali installando lacci di acciaio lungo muretti a secco e recinzioni; quando vedevano che le guardie forestali avevano scoperto i lacci e cominciavano a fare appostamenti per scoprire di chi fossero, allora piazzavano delle trappole per catturare i militari. Ogni guarda forestale veniva pagata fra i 7mila ed i 15mila euro a seconda del grado e della robustezza fisica e il giro d’affari stimato era di oltre 600milioni di euro all’anno.
Interi reggimenti di Guardie Forestali italiane sarebbe stati esportati e venduti illegalmente a piccole comunità siberiane, dell’Alaska o a governi africani e gli inquirenti sono a lavoro per capire come farli rientrare in Italia al più presto e fargli riprendere regolare servizio