“Salude a nois fin’a torrare isse”: così morirono il giorno dopo i parenti di Santu Lazzaru
BETANIA (Gerusalemme). “Salude a nois fin’a torrare isse”. Quante volte abbiamo sentito questo augurio pronunciato magari a seguito della dipartita di un parente? Non di un parente serpente, sia chiaro! per loro va benissimo il più diretto “che nd’amus faladu mezus!” (ne abbiamo scesi in cimitero di migliori ndr). Ebbene, ci fu un episodio storico in cui tale detto si sarebbe infatti rivoltato fantozzianamente contro coloro che lo avevano guasi guasi appena pronunciato: parliamo dei parenti di Santu Lazzaru.
Era il I secolo d.C, ed era da poco iniziata la mania – diffusasi pari pari con la nuova religione cristiana – di salutare i defunti auto augurandosi la salute fino a quando il defunto non sarebbe ritornato nel mondo dei vivi; fin qui tutto bene, ma le varie compagnie di amici dell’epoca non avevano fatto i conti con un tale Gesu Cristu! Già nell’occhio del ciclone per alcuni fatti che gli avevano già inimicato sos tzilleraios de mesu mundu (i baristi di mezzo mondo ndr): parliamo ovviamente della trasformazione dell’acqua in vino che mise a dura prova diversi piccoli imprenditori, già all’epoca molto bravi a sventrare i fegati di diversi avventori.
Sono stati gli studi recenti di un neo dottorando, Toni Cielle – ovviamente incozzato da alcune associazioni cattoliche – a portare alla luce lo spiacevole inconveniente capitato agli sfortunati parenti e amici di Santu Lazzaru. Il modo di dire “salude a nois fin’a torrare isse”, era spopolato proprio grazie ai dettami della religione cristiana che dopo il trapasso di un fedele, prevedevano la sua resurrezione a maju mai (a maggio mai ndr); facendo dunque credere a chi la pronunciava di avere ancora davanti una lunghissima e prospera esistenza.
Secondo una testimonianza scritta in sardo nuragico e ritrovata nei pressi di Gerusalemme, alcuni parenti di Lazzaro iniziarono a si falare a unu fumu (scendersi a un fumo ndr), per colpa della frase pronunciata, già quando Gesù pronunciò la frase “alzati e cammina”. Uno dei familiari più stretti che, come Fantozzi aveva già incendiato la sua vecchia casa convinto di ereditare quelle di Lazzaro, si sarebbe preso un colpo apoplettico solo al sentire le parole “alzati e cammina”.
Gli altri, per via del ritorno nel mondo dei vivi di Lazzaro, avrebbero iniziato ad avere malori inspiegabili fino a venire interrados tutu cantos entro i dieci giorni dalla resurrezione.
Secondo un altro manoscritto dell’epoca, tutti i parenti delle vittime avrebbero celebrato i vari funerali mudos che cottighina (muti come la radice ndr).