Cassazione: i “Deus ti lu paghede” deve anticiparli la Chiesa. Vaticano a rischio bancarotta
ROMA. La storica sentenza della Cassazione emanata ieri rischia di mettere in ginocchio le finanze dello stato Vaticano. La vicenda parte dalla causa intentata da un maniale sardo, Gesù Maria Zuseppe Fraigu che, dopo aver svolto un lavoro per una anziana signora del suo paese, aveva ricevuto in cambio un “Deus ti lu paghede”, antica forma di assegno isolana. Il muratore si era quindi recato dal prete, cercando di incassare l’assegno e farselo cambiare in moneta sonante. Il sacerdote avreva però respinto l’uomo dicendo che non spettava alla Chiesa pagare i “Deus ti lu paghede” e che tali forme di pagamento siano da intendere come assegni post-datati (con date di riscossione variabili da persona a persona). Il Fraigu avrebbe abbondantemente insistito sull’illegalità della cosa, chiedendo l’immediata riscossione del pagamento fino a quando, di fronte all’ennesimo rifiuto del parroco, sarebbe andato via infuriato promettendo seguito legale alla cosa.
La situazione sembrava essersi quietata fino a quando non sarebbe arrivata, alla diocesi di riferimento, una lettera inviata dal legale dell’uomo in cui si annunciava una denuncia per insolvenza nel pagamento ed emissione di assegni scoperti. La questione è andata avanti a colpi di denunce, contro-denunce e smentite, fino a diventare un caso nazionale arrivato alla Corte Suprema di Cassazione. Gli anni di battaglie legali si sono finalmente conclusi ieri con la storica sentenza: le parrocchie, tramite le finanze della banca Vaticana, dovranno pagare quanti si presenteranno muniti di regolare fattura che abbiano ricevuto un “Deus ti lu paghede”.
La sentenza fa tremare il Vaticano che, si stima, dovrà sborsare qualcosa come 8 miliardi di euro l’anno e rischia seriamente la bancarotta. La Banca Centrale Europea ha già annunciato un piano di aiuti per lo IOR per evitarne il fallimento. Si temono pesanti contraccolpi per l’economia e l’innescarsi di una spirale che porterà all’impennata dell’inflazione, vista l’elevatissima frequenza con cui le vecchiette sarde usano questa forma di pagamento dopo piccoli lavori o micidiali fatiche da parte dei poveri giovanotti (spesso vicini di casa) che, per quieto vivere e buon vicinato, non possono sottrarsi a tali incombenze. Scettiche le associazioni dei consumatori che hanno commentato gli aiuti europei con un “già gliene entrano altri”, ricevendo come risposta dal Cardinale Culimpippa, presidente della banca vaticana, un imbarazzato “in effetti già è vero”
sulla scia di questa sentenza, che scuote il vaticano e rischia di prosciugare e sue ricche casse, un comitato di cittadini indignati dai comportamenti della kasta politica e per la pochezza delle loro iniziative per aiutare il popolo a uscire dalla crisi, sta lanciando una raccolta di firme per presentare al governo una proposta di legge di iniziativa popolare che prenderà il nome di “in meighina contraria”.
tale proposta prende spunto dalla politica dei bonus inaugurata dal governo renzi, da molti reputati “nasce elettorali” che non hanno vere e proprie ricadute nell’economia e a nulla valgono per far uscire dalla crisi le famiglie italiane.
in sintesi il contenuto della proposta di legge: coloro che percepiscono il bonus potranno scrivere a un indirizzo dedicato restituendo il 2%, in monete da un €/cent, indicando la causale “in meighina contraria bos binsonget”.
l’iniziativa sta suscitando un largo interesse tra molte forze politiche, e un nutrito seguito di sostenitori sta preparando i banchetti per la raccolta delle firme da allestire nelle piazze italiane.
tuttavia alcuni, pur condividendo lo spirito dell’iniziativa, esprimono delle riserve. in particolare alcuni attivisti del movimento 5 stelle, che reputano incoerente restituire solo pochi spiccioli trattenendo per se il grosso della somma.
la risposta del comitato promotore, affidata agli organizzatori delle tante feste dei diciottenni (percettori di uno dei tanti bonus erogati), è stata draconiana: “ello ca li torro tottu! e tando su dinare pro sa ‘esta mi lu das tue?”